Sara e Enrico

Il silenzio tendeva i minuti, nessuno dei due trovava le parole da dire. Entrambi sapevano di trovarsi a quel bivio che da settimane sfuggivano.

Ma ora c’erano solo loro, la musica di sottofondo e l’estate che pigramente sorvolava quei giorni di confusione.

Fu lei a muoversi per prima. Simultaneamente la mano sfioro il suo ginocchio e le sue spalle si sporsero in avanti. Il viso rimase leggermente indietro, ultima balaustra verso quello che sicuramente sarebbe stato un tremendo sfacelo. La resistenza fu vinta dal suo respiro, uno solo, più forte degli altri. Sara capì che anche lui eri li, vicino, che anche lui respirava via la tensione e voleva solo le sue labbra. Millimetro dopo millimetro le bocche si sfiorarono, dopo un secondo si unirono dando vita ad un bacio lento, quasi doloroso, un bacio atteso ma allo stesso tempo improvviso.

Mille pensieri affiorarono nella mente di lui. C’è chi dice che gli uomini provino una gamma di emozioni limitata, che vogliano avere tutto subito, ma Enrico penso solo che in quel bacio ci avrebbe vissuto anche tutta la vita, che sarebbe stato l’inizio e la fine. Prima di questo non pensava che l’animo umano fosse in grado di avere tante sfumature al suo interno. Per lui fu come un’esplosione, come un fulmine che ti colpisce al termine della colonna vertebrale e che ti lascia paralizzato. Aprì gli occhi e si trovò di fronte le palpebre di lei, e pensò che avrebbe pagato qualsiasi prezzo per far averla  vicina così per sempre.

Lei invece aprì gli occhi, morbida, si staccò da lui con un accenno di sorriso, per qualche secondo sgombra di tensioni e indecisioni.

Ma quasi subito lo smarrimento prese il sopravvento e il sorriso incurvò la sua onda. “Io non posso” disse lei, ritraendo la mano dal ginocchio di lui “Mi hai baciato tu, io non ho fatto nulla” rispose lui, mettendosi sulla difensiva. Subito dopo, resosi conto di aver sbagliato approccio, tento di ammorbidire la situazione: “ Perché non puoi?” “Perché è troppo difficile da sostenere, io non ce la faccio, sono confusa” disse Sara fissandolo. Lui distolse lo sguardo e guardo fuori, verso il paese tranquillamente addormentato. Lui stava fermo, lei lo incalzo: “Perché non mi guardi negli occhi?”. Enrico girò il viso verso lei e la baciò d’improvviso, un bacio che tratteneva da mesi, da quando la guardava ridere al bar e pensava che avrebbe voluto ridesse per lui, da quando in macchina lei si confidava e lui le teneva la mano sentendo i brividi fino alle spalle. “Ecco perché non ti guardo. Perché se vedo i tuoi occhi, vedo le tue labbra, mi sento in diritto di baciarle. E tu con le labbra dici di sì ma con la testa dici di no. A questo punto sono io che non ce la faccio quindi scappo, almeno con gli occhi scappo. E questi baci non fanno altro che convincermi che ne vorrei altri, ma non so se li avrò, e questo è una tragedia”.  Lei fu sorpresa dal suo breve monologo, sorpresa dal fatto che lui soffrisse. Lei aveva pensato di avere lo scettro di principessa confusa e malamente catapultata in un dramma rinascimentale dai contorni romanzeschi. In quello stesso istante si rese conto che i suoi sentimenti erano ricambiati, che non era unica protagonista. Si rese conto che il cuore di lui era nelle sue mani.

cielo

Paranoial activity

Quanto è difficile rapportarsi con il genere umano. quasi quanto rapportarsi con noi stessi.
A volte si ha l’impressione di essere chiusi in una scatola, con una sola finestra per guardare fuori. Vedi la gente passare davanti ad i tuoi occhi e ti accorgi di non riuscire a interagire, di non riuscire a fermarla, di non riuscire a segnalare la tua presenza.
Altre volte invece ti senti al centro di una piazza colma di persone, spintonata da tutti, senza possibilità di esclusione o di ritirata.
La sensazione è la medesima, di soffocamento, di apprensione. Urliamo tutti i giorni la nostra insoddisfazione ma non veniamo ascoltati, a tratti nemmeno da noi stessi.
Continuiamo la nostra vita nelle nostre scatole o nelle nostre piazze, chiusi nella sensazione angosciosa di essere un numero, uno solo, isolati dai cuori altrui. Alziamo barriere a riprova della nostra integrità morale, in un mondo dove chi vacilla, chi inciampa viene lasciato indietro al suo destino, inerme soldato di una campagna di emozioni fallimentare.

Le storie che mi hanno toccato, da vicino o da lontano sono diverse, i protagonisti sono diversi, ma il risultato è lo stesso. La stessa capacità di ferire, di attaccare, di cercare il punto debole, di trovare la crepa da cui distruggere il nucleo. Persone che si sono amate alla follia vengono dimenticate in un angolo, come un mucchio di magliette ormai adibite a stracci. Grandi amicizie che finiscono in tempeste d’odio, parentele che si dissolvono senza una parola.
E noi siamo ormai animali da palcoscenico, attratti dai serpenti incantati dei social, spinti ad una vita perfetta che forse, nemmeno ci appartiene.

Chiudiamo le nostre emozioni quasi fossero un virus contagioso e le riponiamo nei cassetti in attesa che professionisti pagati ad ore riescano a dirci cosa farne.

Spesso e volentieri mi rendo conto di non riuscire io stessa a esprimere il mondo che ho dentro. Imbocco la strada sbagliata perché la mia piccola lanterna non riesce ad illuminare le alternative.

Ma credo intensamente che in ogni persona esista un interruttore che possa accendere tutto ciò che di meraviglioso ha da dire l’animo umano. Altrimenti non esisterebbero quadri, poesie, canzoni, altrimenti nessuno si amerebbe, nessuna amicizia nascerebbe.
E giorno dopo giorno mi sveglio con l’utopica sensazione che oggi possa essere migliore di ieri, che forse, nei miei sentieri di disillusione io possa incontrare ancora persone che vadano contro tutto ciò che ho detto sopra, persone per cui dire: “ne è veramente valsa la pena.”

Sorpasso

silvia B&W

Bloccato in corsia di sorpasso,

chiuso tra i muri della velocità

costretto ad avanzare in linea retta,

sospinto dall’affannarsi della quotidianità,

senza scampo,

senza tregua.

E’ cosi che vuoi vivere, troppo lontano dalla prossima uscita,

ormai troppo distante dalle zone di sosta?

E’ cosi che vuoi perderti il paesaggio della tua vita,

mutevole,

e al tempo stesso invariato nel susseguirsi delle stagioni?

Come l’attore in scena recita una parte che fa sua ogni volta,

così tu vaneggi sull’essere te stesso,

quando il tuo vero Io l’hai perso tra firme, contratti e scadenze.

 

La parte più vera, la tua. Smarrita.

Fragili.

fiore chiusoHo saputo la notizia della morte di Chester, il cantante dei Linkin Park. Gruppo che mi ha accompagnato nella mia adolescenza, che ho sempre seguito e che ho visto all’autodromo di Monza poco più di un mese fa. Sono rimasta scioccata, oltre che a livello umano, anche dal fatto che..siamo fragili.

In una canzone diceva:

“I’m only a crack in this castle of glass”.

“Sono solo una crepa in questo castello di vetro”.

                                                          Castel of glass – Linkin Park

E’ vero, quanto poco basta per far crollare tutto, una piccola crepa che nasce dentro di noi e che è apparentemente insignificante, ma che con il passare del tempo acquista forza. Prendiamo delle botte e questa crepa si allarga sempre di più fino a divorarci.

Siamo fragili nel nostro essere unici e irripetibili.

A volte ci sentiamo soli perché ogni pensiero che facciamo è nostro, e per quanto esso possa essere condivisibile, non potrà mai essere chiaramente compreso da una mente o da un cuore altrui. E’ una riflessione triste, malinconica, ma ci fa sperare che nella nostra meravigliosa unicità si possa forse trovare chi magari non ci comprende ma ci completa, chi chiude con il suo essere le falle della nostra mente.

Ieri sera mi sono addormentata influenzata da questo avvenimento e ho sognato di morire. O meglio, ho realizzato che anche io posso morire. Nessuno è indenne da cadute, nessuno è immortale, nessuno è perfetto, nessuno può dire “a me non capiterà mai tutto questo”.

E la domanda da farsi è:

se dovessi morire ora, avrei realizzato almeno uno dei miei sogni? Avrei sfruttato al meglio le mie 24 ore? Avrei cambiato il mio mondo?

Io non so la vostra, ma la mia risposta è NO.

Quanto tempo sprecato, quante volte mi invento qualcosa per farlo passare più velocemente in attesa di un avvenimento che mi pare importante. Quanti minuti, ore, buttati via e non impiegati a migliorare quella che, dopotutto, è la nostra unica vita. Quanti trampolini mancati, quante partenze avvenute mentre io mi guardavo le scarpe, quanti rigori sbagliati, quanti anni noiosi trascorsi all’ombra di un’irrequietudine di vivere che non mi riesce di spiegare.

Quante cose non fatte, non dette, quanta paura, quanta solitudine, quanti sensi di colpa, quanti rimorsi, quanti rimpianti, quante urla, quante lacrime, quanti chilometri per nulla, quanti viaggi finiti ancor prima di iniziare, quante micro vendette inutili, quanto tempo sprecato ad esser triste, quanta vita sprecata a rimanere immobile.

IO ORA VOGLIO DI PIÚ.

Arredare i tunnel

Scrivo questo articolo di getto, così, dopo anni di silenzio. Tornare qui, rileggere i commenti, pensare che forse stavo creando qualcosa e rendermi conto che invece ho spezzato ciò che con fatica stavo creando. Leggere ciò che scrivevo con occhio critico, da esterna e pensare? Ma forse non è poi cosi male come sembrava al tempo.

Scrivo così, senza badare alla grammatica, alla punteggiatura. Senza revisioni, senza correzioni. Non è così in fondo la vita? Per ogni minuto da affrontare non ne abbiamo un altro per riflettere.

Sono stati anni bui, e lo sono ancora in realtà. Ma forse potrei utilizzare gli strumenti che ho per accendere la luce. Fautori del nostro destino, costruttori e distruttori, lavoranti di creta e cretini.

Ciao, tornata.

🙂

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Foto: Smarry al Vittoriale degli Italiani mentre cerca di salpare sulla nave Puglia. 

“Ogni volta che scegli, tu scegli lo schiavo che non sarai”

Lo stato sociale – Niente di speciale

Wish you were here

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Domenica sera ho visto una stella cadente.

Ha illuminato il cielo a giorno, è stato veramente un bellissimo spettacolo. Stavo guidando, sola, nella sera più triste. La domenica, quando il weekend finisce e cominci a pensare al lunedì. Forse per questo, per quell’alone di malinconia che avvolge sempre la fine di qualcosa che per te è stato bello, ho avuto un pensiero triste, veramente triste.

Da sette anni a questa parte,ho espresso sempre e solo lo stesso desiderio. Tutte le volte che vedevo una stella cadente, che mi cadeva una ciglia, che vedevo una coccinella posarsi sul mio braccio, che vedevo l’arcobaleno il mio desiderio è sempre stato uno: salvalo.

Stavolta no..ho fatto per esprimere quel desiderio ma purtroppo mi sono fermata con il groppo in gola. Non si può più, non esiste più quel desiderio, la speranza si è spenta.

Come potrò io trovare un desiderio all’altezza di quello che ho avuto per anni? Cosa sarà talmente importante da competere con il mio desiderio più grande? Non mi sembreranno sempre desideri di poco conto, banali, senza importanza? Riuscirò mai a esprimere un desiderio senza pensare che quello più importante non è mai stato realizzato?

Mille domande si sono affollate nella mia testa mentre tornavo a casa, con al radio spenta e il groppo in gola.

Come cambia la vita, e come cambiamo noi seguendola o subendola.

Forse perché è cominciato il mese delle ultime volte, forse perché è quasi passato un anno, ma fatto sta che qui, nella “terra degli uomini” ci si sente ancora un po’ troppo soli.

Forse.

Sto pensando che forse dovrei smettere di leggere.

E’ una cosa che faccio da quando praticamente ho 5 anni, ed adesso di primavere e anche di inverni ne sono passati sul calendario. Ma ogni volta che leggo rimango incantata dalla storia e dalla trama, e mi stupisco di certe trovate quasi “teatrali” di alcuni scrittori.

Ma sopratutto invidio la loro tecnica, la scioltezza nelle descrizioni, il creare con le parole. Mi capita a volte di leggere un passo di un libro e vedermelo davanti come un’istantanea, preciso. Ci sono libri più descrittivi e libri più concettuali diciamo, ma la capacità di intrappolare il lettore e di fargli vedere la scena e sentire i sentimenti attraverso i suoi occhi penso sia un dono innato.

Trovo sempre una forma di disagio verso chi sa fare bene qualcosa, e a dir la verità una sorta di invidia generica.

E io dovrei smettere di leggere e di confrontarmi con esempi che non raggiungerò mai, e di invidiare le tecniche linguistiche e le scelte dei vocaboli che io non troverò mai. A volte ho la sensazione di avere un nodo creativo, più che un blocco.Ho paura che se si dovesse sciogliere non ci sarebbero parole sufficienti da utilizzare per esprimere tutti i concetti e le scene che ho dentro. Non è autopropaganda, penso che per tutti sia un pò cosi. Probabilmente gli scrittori, i musicisti, gli artisti in generale trovano una valvola di sfogo, riescono a interpretare il loro disagio con un quadro, una poesia, una scultura.

Possono sembrare concetti triti e banali ma penso sia fantastico che un’anima possa esprimersi in tante maniere diverse, creando un linguaggio che varia e cambia in base agli occhi che guardano e alle orecchie che ascoltano. Perchè il bello è questo, che il messaggio cambia per ogni persona. Ciò che vedo io in un quadro magari per un’altra persona è ridicolo.

Però allora dovrei smettere di ascoltare musica, di guardare film, di mangiare torte, di guardare quadri. Probabilmente dovrei andare in giro con i paraocchi e con i tappi nelle orecchie, perchè la cosiddetta arte è espressa anche nei mimi, nei writer, ma anche nei gioiellieri, negli orafi, nella commessa che allestisce la vetrina di Natale e poi la guarda soddisfatta e va a casa un pò più felice. Nel pescivendolo che sfiletta il pesce, nel fornaio che impasta venti tipi di pane diversi.

Non a caso qualsiasi lavoro, se fatto bene viene detto “ad arte”, anche se di artistico non ha nulla.

Forse la soluzione non è smettere di guardare o di ascoltare, ma semplicemente trovare la mia strada e il mio modo di esprimermi. Forse devo trovare lo “sciogli-nodi creativi”. Forse invece di invidiare chi fa qualcosa, devo cominciare a provarci anche io.

Forse dalla frase sopra devo togliere tutti i forse perché funzioni.